Cicerone - Somnium scipionis (da 1.1 a 9.21)
1,1 Quando giunsi in Africa in qualità di tribuno militare, come sapete, agli ordini del console Manio Manilio presso la quarta legione nulla mi stette più a cuore che incontrare Masinissa, re amicissimo, per giusti motivi, della nostra famiglia. Quando giunsi da lui, quel buon vecchio abbracciandomi scoppiò in lacrime e dopo un momento alzò gli occhi al cielo (e disse): “Ti rendo grazie o sommo Sole, e grazie anche a voi, altri corpi celesti, poiché, prima di emigrare da questa vita, scorgo nel mio regno, e per giunta in questa casa P. Cornelio Scipione [Masinissa allude all’Africano Maggiore, di cui l’Emiliano è il nipote adottivo], dal cui semplice nome mi sento rinfrancato: tanto è vero che (ita )** mai dal mio animo si allontana il ricordo di quell’uomo tanto buono e valoroso”, Poi io chiesi a lui notizie del suo regno ed egli a me della nostra repubblica; tenuti molti discorsi da una parte e dall’altra ci passò tutta quella giornata.
1,2 Poi, ricevuti con regale suntuosità, protraemmo la conversazione fino a notte inoltrata: il vecchio non parlava che dell’ Africano e di lui ricordava non solo tutte le imprese, ma anche le parole. Quando poi ci ritirammo per dormire, vuoi perché ero stanco dal viaggio, vuoi perché ero rimasto sveglio fino a notte inoltrata, mi avvinse un sonno più profondo del solito. Allora ( credo per l’argomento dei discorsi che avevamo fatto; avviene infatti di solito che i nostri pensieri e i nostri discorsi producano nel sonno qualcosa di simile a ciò che Ennio scrive a proposito di Omero, intorno al quale evidentemente era solito pensare e parlare da sveglio) mi si mostrò in sogno l’Africano con quell’aspetto che mi era più noto dal suo ritratto che per averlo visto di persona; appena lo riconobbi, per parte mia provai un brivido; tuttavia egli (disse) : “Rassicurati e scaccia ogni timore, Scipione, e quello che ti dirò, tienilo bene a mente”.
2,3 “Vedi quella città che, costretta per opera mia a obbedire al popolo romano, rinnova le antiche guerre e non riesce a stare tranquilla?” e intanto indicava Cartagine da un luogo elevato e pieno di stelle, luminoso e splendente. “Questa città che ora tu, poco più che semplice soldato, vieni ad assediare, come console tra due anni la distruggerai e avrai, guadagnato per i tuoi meriti, il soprannome di Africano che ora porti come ereditato da me. Quando poi avrai distrutto Cartagine, avrai celebrato il trionfo e sarai stato censore, e ti sarai recato come ambasciatore in Egitto, in Siria, in Asia e in Grecia, sarai fatto console per la seconda volta pur non essendo presente alle elezioni e porrai termine a una guerra disastrosa, distruggerai Numanzia. Ma quando sarai portato in Campidoglio sul carro trionfale, troverai lo Stato turbato dai piani di mio nipote.
2,4 A questo punto tu, Africano, bisognerà che dimostri alla patria tutta la luce del tuo coraggio e del tuo ingegno, e anche del tuo senno. Ma di quel tempo vedo dubbia quella che si potrebbe dire la via del destino, Infatti, quando la tua età avrà percorso per otto volte sette giri e rivoluzioni del Sole [cioè quando Scipione avrà compiuto per otto volte sette anni: 8*7=56] e quando questi due numeri, dei quali l’uno e l’altro, per diversi motivi, si considerano perfetti, avranno compiuto con il loro naturale percorso la somma degli anni per te stabilita dal fato, a te solo e al tuo nome si volgerà tutta la città, il senato, gli ottimati, gli alleati italici, i Latini, tu sarai il solo a cui possa appoggiarsi la salvezza dello Stato e, per non farla troppo lunga, bisogna che tu come dittatore riordini lo Stato, qualora tu riesca a sfuggire alle empie mani dei tuoi parenti”. A queste parole Lelio gettò un grido e gli altri proruppero in forti lamenti, ma Scipione sorridendo serenamente (disse): “Silenzio! Vi prego, non destatemi dal sonno e ancora per un poco ascoltate il seguito”.
3,5 Ma perché tu, Africano, sia più sollecito a difendere lo Stato, tieni per certo questo: per tutti quelli che hanno salvato, aiutato, accresciuto la patria, ben preciso è stato riservato in cielo un luogo nel quale possano felici godere di una vita eterna; nulla vi è infatti, di quanto almeno accade sulla Terra, che sia più gradito al dio supremo che regge tutto l’universo, delle comunità di uomini aggregate dal diritto che sono chiamate Stati; i reggitori e i salvatori di questi, di qui partiti, qui fanno ritorno.
3,6 A questo punto io, anche se ero rimasto sconvolto non tanto per la paura della morte, ma delle insidie da parte dei miei, chiesi nondimeno se lui vivesse e così mio padre Paolo e altri che noi consideriamo estinti; “Anzi, al contrario” disse “ i vivi sono questi che volarono via dalle catene del corpo come da un carcere; invece quella che voi chiamate vita è morte. Non vedi tuo padre Paolo che viene verso di te?” Non appena lo vidi, per parte mia scoppiai a piangere a dirotto mentre egli, abbracciandomi e baciandomi, cercava di trattenermi dal piangere.
3,7 E io, non appena, trattenuto il pianto, cominciai a essere in grado di parlare. “Ti prego” dissi “padre santissimo e ottimo, dal momento che questa è la vita, come sento dire dall’Africano, perché indugio sulla Terra? Perché non mi affretto a venire qui da voi?”. “Non è così” rispose. “Infatti, se il dio a cui appartiene tutto questo spazio celeste che vedi non ti avrà liberato da codesto carcere che è il tuo corpo, l’accesso in questo luogo non ti può essere aperto. Gli uomini, infatti, sono stati generati con questa legge, che custodiscano il globo chiamato Terra che vedi posto al centro di questo spazio celeste e a essi l’anima è stata data da quei fuochi sempiterni che voi chiamate costellazioni e stelle che, sferiche e rotonde, animate da menti divine, compiono orbite circolari con mirabile celerità. Perciò tu, Publio, e tutte le persone devote al dio dovete mantenere l’anima nel carcere del corpo, né senza il consenso di colui dal quale l’anima vi è stata data dovete emigrare dalla vita tra gli uomini perché non sembri che siate venuti meno al dovere umano assegnato dal dio.
3,8 Così dunque, Scipione, come fece il tuo antenato qui presente, come feci io che ti ho dato la vita, coltiva la giustificazione e la devozione, che, se già è grande nei confronti dei genitori ed i parenti, tanto più deve essere grandissima quando si tratta della patria; una tale vita è la via verso il cielo e verso la comunità di coloro che già hanno vissuto e, svincolati dal corpo, abitano il luogo che vedi (quel luogo era infatti uno spazio circolare rilucente di splendidissimo candore tra le fiamme degli astri) e che voi, come avevate appreso dai Greci, denominate Via Lattea.. a me che contemplavo l’universo da quel luogo, tutto il resto sembrava magnifico e degno di meraviglia, vi erano infatti quelle stelle che mai abbiamo visto di qui e le dimensioni di tutte erano quali non abbiamo mai sospettato, tra queste la più piccola era quella che, ultima dalla aprte del cielo e più vicina alla terra, brillava di luce non propria. I globi delle stelle, poi, superavano di molto la grandezza della terra. Anzi mi sembrò talmente piccola la Terra, che mi vergognavo adel nostro dominio, con il quale arrivavamo a toccarne. Per così dire, un punto.
4,9 Poiché io guardavo con insistenza la Terra, “ti prego” disse l’Africano “fino a quando la tua mente rimarrà fissa a Terra? Non vedi in quali spazi celesti sei venuto? L’universo è composto di nove cerchi o piuttosto sfere, dei quali uno solo è quello veramente celeste, l’ultimo, che abbraccia tutti gli altri, egli stesso sommo dio, che racchiude e tiene insieme gli altri; in esso sono infisse le stelle che ruotano con eterno movimento. A questo (al cielo delle stelle fisse) sottostanno le altre sette sfere che ruotano con movimento contrario a quello del cielo (delle stelle fisse). Tra queste, una sfera la occupa l’astro che sulla Terra chiamano di Saturno; poi c’è quel bagliore prospero e salutare per il genere umano, che è detto di Giove; poi quello (quel bagliore) rosso vivo e funesto alla terra che voi dite di Marte; poi, al di sotto, il Sole occupa all’incirca la posizione di mezzo; esso è guida, principe e moderatore degli altri astri, mente del mondo e forza regolatrice: tanta è la sua grandezza che della sua luce rischiara e riempie l’universo. Lo seguono nell’ordine, come compagni, l’orbita di Venere e quella di Mercurio e nella sfera più bassa si volge la Luna, illuminata dai raggi del Sole. Al di sotto, dunque, non vi è nulla che non sia mortale e caduco tranne le anime, date al genere umano per dono degli dei; a partire dalla luna verso l’alto tutte le cose sono eterne. Infatti la stella che è al centro dell’universo e al nono posto, la Terra, è immobile ed è la più bassa e a essa tendono tutti i corpi pesanti per l’inclinazione che è loro propria.
5,10 Poiché io, pieno di meraviglia, guardavo tutte queste cose, quando mi riebbi: “Che c’è?” domandai “che suono è questo, così intenso e così dolce che riempie le mie orecchie?”. “Questo è” rispose “ quel suono che, accordo di intervalli diseguali, ma tuttavia distinti razionalmente secondo proporzioni definite, è prodotto dal movimento impresso direttamente alle sfere e, armonizzando i suoni acuti con quelli gravi, produce accordi regolarmente variati; movimenti tanto ampi, infatti, non possono compiersi in silenzio e la natura comporta che le estremità da una parte producono suoni gravi, dall’altra suoni acuti. Per questo motivo quella sfera del cielo stellato che è la più alta, la cui rivoluzione è più veloce, si muove con un suono acuto e vibrante, mentre questa della Luna, che è la più bassa, si muove con un suono più grave; infatti la Terra, come nona, rimanendo immobile, sta sempre ferma nella medesima posizione, accogliendo in se il centro dell’universo. Quello otto sfere, tra le quali due hanno la medesima sonorità, producono sette suoni distinti da tre intervalli e questo numero è per così dire il nodo dell’universo: certi uomini dotti, avendo imitato con il suono delle corde quest’armonia, si aprirono la via del ritorno in questo luogo, come altri che con i loro eccellenti ingegni coltivarono durante la loro vita di uomini la scienza delle cose divine.
5,11 Riempite di questo suono, le orecchie degli uomini divennero sorde; né vi è alcun senso più debole in voi, dove il Nilo precipita da altissimi monti presso i luoghi cosiddetti Catadupa, la popolazione che abita quel luogo è priva del senso dell’udito per l’immensità del fragore. In realtà questo suono è tanto intenso a causa del rapidissimo movimento di tutto l’universo, che le orecchie degli uomini non possono reggerlo, come non potete guardare il Sole di fronte e la vostra capacità visiva è sopraffatta dai suoi raggi”.
6,12 Pur contemplando con ammirazione tutto questo, tuttavia di tanto in tanto rivolgevo gli occhi a Terra. Allora l’Africano: “mi rendo conto” disse “che tu continui ancora a fissare lo sguardo sulla sede ove gli uomini hanno dimora; se dunque ti sembra piccola, come in realtà, ricordati di contemplare sempre queste cose celesti e di non darti pensiero di quelle umane. Tu infatti quale ricorrenza nei discorsi degli uomini o quale gloria degna di essere ricercata pensi di poter ottenere? Tu vedi che si abita sulla Terra entro luoghi isolati e angusti, e che perfino in queste che potremmo chiamare macchie, che sono i luoghi dove si abita, sono interposti vasti deserti, e che gli abitanti della Terra non solo sono così separati che non vi è possibilità di scambi tra gli uni e gli altri, ma che in parte sono posti in posizione obliqua, in parte in posizione traversa, in parte ai vostri antipodi: da queste genti certamente di gloria non potete aspettarvene affatto.
6,13 Vedi dunque, inoltre, che la Terra è per così dire adorna e circondata da una sorta di cinture, tra le quali vedi che le due poste agli estremi e appoggiate da ambo le parti ai poli celesti sono rese rigide dal gelo, mentre quella mediana, che è poi anche la più ampia, è bruciata dal calore del Sole. Due sono abitabili, e tra queste quella australe, i cui abitanti sono ai vostri antipodi, non ha nulla a che fare con voi; quest’altra zona, poi, che si stende sotto l’Aquilone e che voi abitate, osserva per quale piccola parte vi tocchi. Infatti tutta la Terra che è abitata da voi, ristretta in direzione dei poli, più estesa sui fianchi, è una sorta di piccola isola circondata da quel mare che sulla Terra chiamate Atlantico, mare grande, Oceani; am tu vedi quanto sia piccolo, pur con un nome tanto importante.
6,14 Da questa stessa Terra abitata e conosciuta, la tua fama o quella di qualcun altro di noi ha forse potuto superare questo Caucaso che vedi o attraversare quel Gange? Chi nelle restanti estreme regioni dell’Oriente o dell’Occidente, del Settentrione o del Meridione udrà il tuo nome? Tolte le quali, tu certamente vedi in quali ristretti confini la vostra gloria pretenda che sia diffusa. D’altra parte, anche quelli che parlano di noi, quanto a lungo continueranno a parlarne?
7,15 Anzi, se quella lontana discendenza di uomini futuri desiderasse tramandare di generazione in generazione ai posteri le lodi di ciascuno di noi risapute dai padri, tuttavia, a causa dei diluvi e degli incendi che è inevitabile che si verifichino in tempi determinati, non solo non possiamo ottenere una gloria eterna, ma neppure duratura. Del resto, che importa se si parlerà di te da parte di coloro che nasceranno dopo, dal momento che quelli sono nati prima non hanno potuto fare altrettanto? Eppure quegli uomini non sono stati meno numerosi e certamente furono migliori.
7,16 Tanto più che nessuno, anche presso coloro dai quali può essere udita la nostra fama, può conseguire il ricordo di un solo anno. Gli uomini, infatti, comunemente misurano l’anno solo in base al ritorno del Sole, cioè di un unico astro; in realtà, solo quando tutti gli astri saranno tornati al medesimo punto da cui una volta partirono e avranno ricostituito dopo lunghi intervalli la medesima disposizione di tutto il cielo, allora quello si può veramente chiamare il giro di un anno; e in esso a stento oso dire quante generazioni umane siano comprese. Infatti, come un tempo sembrò agli uomini che il Sole si eclissasse e sparisse quando l’anima di Romolo giunse proprio in questi spazi celesti, ogniqualvolta il Sole si sarà di nuovo eclissato dalla medesima parte e nel medesimo tempo, allora, quando tutte le costellazioni e tutte le stelle saranno ritornate al punto di partenza, considera compiuto l’anno (cosmico); sappi dunque che di quest’anno non è ancora trascorsa la ventesima parte.
7,17 Di conseguenza, se non avrai la speranza del ritorno in questo luogo nel quale sono poste tutte le aspirazioni per gli uomini grandi ed eletti, quanto vale in fin dei conti codesta gloria umana che può riguardare a stento una parte esigua di un solo anno? Pertanto, se vorrai elevare lo sguardo e contemplare questa sede ed eterna dimora, non prestare attenzione ai discorsi del volgo e non riporre le tue speranze nei premi umani: bisogna che la virtù di per se stessa ti attragga alla vera dignità con il suo proprio fascino. In quale senso altri parlino di te, se la vedano loro, tuttavia è certo che parleranno; però tutto quel loro discorrere è limitato dalle angustie di queste regioni che vedi e non è mai stato duraturo per nessuno e viene sepolto con la morte degli uomini e con la dimenticanza dei posteri si estingue”.
8,18 Quando ebbe detto queste cose: “ io certamente” risposi “o Africano, se è vero, che ai benemeriti della patria si apre si apre una sorta di via per entrare nel cielo, benché fin dalla prima giovinezza, seguendo le orme di mio padre e tue, non mi sono mai mostrato indegno della vostra dignità, ora tuttavia che mi è stato prospettato un premio così grande, m’impegnerò in modo molto più sollecito”. Allora egli: “tu dunque compi ogni sforzo e tieni presente questo, che tu non sei destinato a morire, ma questo tuo corpo; tu infatti non sei quello che codesto aspetto esteriore manifesta, ma l’essere di ciascuno è la sua anima, non questa figura che si può mostrare col dito. Sappi dunque che tu sei dio, se è vero che è dio che ha vigore, che sente, che ricorda, che prevede, che regge e governa e muove il corpo cui è preposto, come fa il dio supremo con questo mondo; e come lo stesso dio eterno mette in movimento il mondo che per una certa parte è mortale, così l’anima immortale mette in movimento il fragile corpo.
8,19 Infatti ciò che sempre si muove è eterno; invece ciò che reca movimento a qualcosa e che è esso stesso mosso dall’esterno, quando il movimento ha fine, è necessario che finisca di vivere. Solo dunque ciò che muove se stesso, poiché non viene mai meno a se stesso, non cessa mai neppure di muoversi; anzi, anche per gli altri corpi che si muovono, questa è la fonte, questo è il principio del moto. Il principio, inoltre, non ha alcuna origine; infatti, dal principio nascono tutte le cose, ma il principio stesso non può nascere da nessuna altra cosa; infatti, non sarebbe principio quelle che fosse generato da altro; se dunque il principio non ha origine, neppure ha mai fine. Infatti, il principio, una volta estinto, né potrà esso stesso rinascere da altro né potrà creare da se altro, se è vero che necessariamente tutto abbia origine da un principio. Così accade che il principio del movimento provenga da ciò che si muove da sé; questo poi né può nascere né può morire, altrimenti è necessario che tutto il cielo precipiti e l’intera natura si arresti e non trovi nessuna forza dalla quale per un nuovo impulso iniziale sia posta in condizione di muoversi.
9,20 Poiché è dunque evidente che è eterno ciò che si muove da sé, che c’è che possa negare che questa natura è stata attribuita all’anima? È infatti privo di anima tutto ciò che è mosso da un impulso esterno; ciò che invece è fornito di anima viene sollecitato da un movimento interno e proprio; infatti questa è la proprietà naturale dell’anima; se questa è la sola tra tutti gli esseri che muova se stessa, per certo non è nata ed è eterna.
9,21 Tu esercitala nelle occupazioni più nobili! Nobili sono dunque le sollecitazioni per la salvezza della patria e l’anima che viene mossa ed esercitata da quelle più speditamente tornerà a volo in questa sede e dimora; e farà questo più rapidamente se già fin da quando si troverà chiusa nel corpo saprà elevarsi fuori di esso e, contemplando le cose che saranno al di là, si distaccherà il più possibile dal corpo. E infatti le anime di coloro che si abbandonarono ai piaceri del corpo e che si sono per così dire messi al servizio di questi, e sotto la spinta delle passioni soggette ai piaceri hanno violato i diritti degli dei e degli uomini, una volta sfuggite al corpo, si aggirano intorno alla Terra stessa e non fanno ritorno in questo luogo se non dopo un travaglio di molti secoli”. Egli se ne andò, io mi sciolsi dal sonno.