Verismo

Un approccio scientifico alla realtà

Nella seconda metà dell’Ottocento andò affermandosi in Francia l’idea che anche la letteratura dovesse servirsi di quello stesso metodo scientifico di approccio alla realtà che già veniva applicato nella filosofia positivista, in medicina e in biologia.

Fu Hyppolyte Taine a coniare il termine “naturalismo” nel 1858 e ad applicare per primo questi criteri all’opera letteraria: a lui si deve la Storia delle letteratura inglese (1863) in cui sono identificati nella “razza” (race), nell’“ambiente” (milieu) e nella “situazione storica” (moment) i fattori che meccanicisticamente determinano l’uomo, e che vanno quindi indagati dal romanziere per una lettura corretta delle vicende dei personaggi letterari. In questo modo il ruolo dello scrittore si trasforma da quello di artefice e inventore a quello di scienziato che analizza un periodo per rintracciarvi con assoluta imparzialità i rapporti di causa ed effetto nei comportamenti umani.

Sorto come reazione al tardo Romanticismo, il Naturalismo assunse validità con Emile Zola (1840-1902), che ne attuò in maniera radicale le teorie.

Il Verismo italiano: Verga, Capuana e De Roberto

Sulla stessa strada si misero a metà degli anni settanta anche Luigi Capuana e Giovanni Verga, a conclusione di un lungo itinerario artistico e di ricerca critica: e la stessa strada seguì ben presto Federico De Roberto, pur distaccandosene per certi aspetti, e preludendo allo psicologismo di fine secolo.

L’approdo di Verga e Capuana al Naturalismo (“Realismo” e “Verismo”) non produsse un vero e proprio ‘manifesto’ programmatico, che restò piuttosto affidato alle opere stesse: Rosso Malpelo (1878) e le altre grandi novelle di Vita dei campi (1880), I Malavoglia (1881) da un lato e Giacinta (1879) dall’altro.

Se “l’impersonalità”, “l’eclissi dell’autore”, era il modo d’approccio caratteristico sia per gli italiani sia per i francesi, lo studio scientifico dell’uomo e della società costituiva il secondo punto di contatto fra le due ‘scuole’, sulla base dell’ottimismo positivistico che riteneva si potessero descrivere con gli stessi strumenti tanto i personaggi letterari quanto i fenomeni scientifici. I veristi tendevano però a privilegiare “la scienza del cuore umano”, rinunciando alle diagnosi più tecniche sulla società, attuate invece dai naturalisti; un0ulteriore divergenza si può notare nel carattere metropolitano e proletario del romanzo naturalista, cui corrispose in Italia (anche per la nostra arretratezza industriale) un Verismo più municipale e contadino, che sembrò trovarsi a disagio quando tentò di affrontare l’analisi di classi più elevate, nello sforzo di completare la ricostruzione della società contemporanea nelle sue varie componenti e fisionomie sociali. Era quest’ultimo l’intento del ciclo zoliano dei Rougon-Macquart, cui voleva adeguarsi il ciclo dei “vinti”, che restò incompiuto (dopo I Malavoglia e il Mastro-don Gesualdo) quando affrontò i gradini più alti della scala sociale.

Il Verismo fu un vero e proprio movimento d’avanguardia strettamente limitato a Verga e Capuana, il cui vivace rapporto personale e critico, accompagnato da un continuo dibattito, contribuì in maniera essenziale alla definizione del metodo. Possiamo aggregare ai due il più giovane De Roberto, che si riferì a loro come maestri; tutti gli altri scrittori non presentano globalmente caratteristiche tali da poter essere inquadrati dentro il Verismo.


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