Ludovico Ariosto - Orlando Furioso
Iniziamo con l’introdurre brevemente le vicende narrate in questi due poemi. Ludovico Ariosto, poeta italiano di famiglia nobile, partecipò alla vita di corte degli Estensi fin dagli anni giovanili, entrando al servizio di Ippolito d’Este nel 1503. Durante questo periodo scrive l’Orlando Furioso e le Sette Satire. Queste ultime sono componimenti in terzine di varia lunghezza, indirizzate prevalentemente a parenti ed amici, in cui riflette la sua libertà d’animo, la libertà di scrittore, prendendo spunto da esperienze autobiografiche, difetti della curia romana, difficoltà e rischi della vita matrimoniale e sull’educazione umanistica. Per quanto riguarda la composizione dell’Orlando Furioso, gli viene commissionato dagli Estensi come continuazione dell’Orlando Innamorato, opera iniziata dal Boiardo, ma rimasta incompiuta a causa dei troppi impegni dell’autore. Il furioso riprende i motivi dei cicli Bretone e Carolingio mantenendoli tutti sullo stesso piano, senza dare maggiore spessore a nessuna delle tematiche trattate e giungendo a una grande tensione narrativa. L’Orlando Furioso non è una raccolta di favole di per sé vuote, ma l’amore, la bellezza femminile, il culto dell’amicizia e della gentilezza cavalleresca, il gusto per le avventure strane e spettacolari vengono unite dal poeta fino a formare un complesso unico omogeneo ed armonioso. Il famoso inizio (“Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie le audaci imprese io canto”) introduce bene l’incessante variare degli episodi che esso narra, raccolti attorno a tre nuclei essenziali: la guerra fra Cristiani e Saraceni al tempo di Carlo Magno, l’amore del più famoso paladino di Carlo, Orlando, per la bella Angelica e l’amore fra il pagano Ruggero e la cristiana Bradamante, gli eroi dai quali il poeta fa discernere la casa Estense. Come avremo modo di dimostrare nel corso di questa nostra relazione, nella letteratura passata, come del resto in quasi tutta la letteratura contemporanea, si possono trovare dei legami tra le opere che, ad una prima lettura superficiale possono passare inosservati, ma che invece con una preparazione di base risultano evidenti ed affascinanti. Abbiamo così esaminato a fondo alcuni canti tratti dall’Orlando Furioso dell’Ariosto e dall’antica opera di Virgilio l’Eneide. Ci sono così stati suggeriti i canti riguardanti il tema dell’amicizia tra uomini, in particolare tra Cloridano e Medoro nell’Orlando e tra Eurialo e Niso nell’Eneide. Vediamoli ora nei particolari.
CLORIDANO E MEDORO (Canto 18^ e 19^-Orlando Furioso)
Cloridano e Medoro sono due giovani mori, nati entrambi a Tolomitta, di cui si può affermare senza ombra di dubbio che nonostante “la loro stirpe sia sconosciuta, la loro storia è comunque degna di essere scritta”. Di Cloridano possiamo dire che è un cacciatore e per questo la natura gli aveva fornito un corpo robusto ma snello; Medoro invece, molto più giovane di Cloridano, è il classico tipo mediterraneo o per meglio dire moro.
La loro storia racconta che dopo essersi avventurati con il loro re Dardianello per la Francia e per i Mari, durante uno scontro con i Cristiani dove il loro re rimase ucciso, ebbero modo di provare il loro proverbiale coraggio. La stessa notte della morte del re, Medoro viene tormentato da un pensiero molto patriottico, sente, infatti, di non poter lasciare che il cadavere del re che tanto amava restasse senza una sepoltura, grazie alla sua fedeltà avrebbe dato tutto, anche la sua vita, purché quel corpo fosse stato sepolto in una tomba e non lasciato abbandonato in un campo di battaglia. Decide così di andare nel campo Cristiano e riprendere il corpo del re. Cloridano dapprima, con la saggezza propria di un uomo già forgiato dalla vita, tenta di dissuaderlo, per l’impossibilità dell’impresa, ma prendendo atto della fede che il fanciullo mostrava verso il suo signore, decide di aiutarlo.
Giungono così al campo dei Cristiani e qui, facendosi spazio con la spada e una buona dose di coraggio, raggiungono il campo dove in lago di sangue molte persone avevano perso la loro vita: ormai le distinzioni di razza e ceto sociale, qui non si notavano più. Medoro, da ragazzo ingenuo e devoto quale è, si rivolge alla luna chiedendole di illuminare con la sua luce il luogo in cui il cadavere del re giacesse. Alla sua preghiera il cielo si apre e i raggi della luna rivelano il cadavere del re. Alla vista del corpo Medoro inizia a piangere, ma il suo pianto così sincero e astratto viene subito portato a una dimensione più reale da Cloridano che teme l’arrivo dei soldati Cristiani. L’ultimo gesto disperato che i due ragazzi tentano di fare è quello di portarsi il corpo senza vita in spalla, ma l’arrivo immediato dei soldati li costringe alla fuga. La ferrea volontà di Medoro però non gli fa abbandonare il corpo, al contrario di Cloridano che può così fuggire nella foresta, credendo di essere seguito dall’amico, catturato invece dai nemici. Questo, infatti, era stato accerchiato da cento cavalieri, ma non è stato abbandonato dall’amico che, vedendolo in difficoltà inizia a scagliare delle frecce fatali per alcuni dei cavalieri. Zerbino, loro ingiusto capo, decide che a farne le spese della morte dei suoi cavalieri sarebbe stato Medoro, salvato in extremis dalla sua venerabile devozione al defunto re e alla buona riuscita della missione che riuscì a colpire anche il duro cuore di Zerbino. Vedendosi nell’opportunità di vendicare il proprio re, Medoro non si accontenta di avere salva la vita, ma cerca così di sconfiggere i soldati, avendo come unico risultato la morte di Cloridano. Grazie alle sue ferite però riuscirà a conoscere una stupenda quanto famosa ragazza, il cui nome è Angelica.
BREVE INTRODUZIONE ALL’ENEIDE DI VIRGILIO
Il poema di comparazione con questa vicenda dell’Orlando è l’Eneide, scritta prima della nascita di Cristo da Virgilio. Virgilio scrisse tre opere che lo resero famosissimo già in vita e ammirato dai posteri. Le prime sono le Bucoliche, che cantano la semplicità della vita contadina in cui regnano pace, serenità amore, unico rifugio dalle ingiustizie e dal dolore che egli riteneva propri della vita. Le seconde sono le Georgiche, che affrontano il lavoro della terra, l’allevamento delle bestie e l’apicoltura. La terza opera virgiliana, capolavoro d’ogni tempo, benché il poeta non avesse avuto tempo di rifinirlo (e per questo sul letto di morte chiese che fosse distrutta) è, appunto, l’Eneide, un ampio poema che vuole essere l’esaltazione di Augusto e di Roma. I suoi modelli principali sono i poemi di Omero: l’Odissea per i primi sei libri, in cui si descrive la presa di Troia da parte dei Greci con l’inganno del cavallo, la fuga dei pochi superstiti guidati da Enea, il loro penoso vagare per il Mediterraneo, la loro sosta a Cartagine dove la regina Didone si uccide per amore di Enea, cui il fato impone di ripartire, la discesa di Enea agli inferi dove vede le anime dei futuri eroi di Roma, fino all’arrivo nel Lazio. I successivi sei libri sono più affini all’Iliade, narrando le lotte e le eroiche imprese quali la premessa della fondazione di Roma. Virgilio approfondisce molto la psicologia dei personaggi, scruta il loro animo, esaltando la generosità eroica ma anche la pietà e il dolore dei vincitori come dei vinti. L’animo del poeta è ben rappresentato dal protagonista, il quale è un eroe di guerra che non la ama né si esalta per la vittoria, sa commuoversi davanti ai mali altrui e propri e vede l’eroismo come un dovere.
EURIALO E NISO (9^ Libro-Eneide)
Eurialo e Niso sono due ragazzi troiani che entrambi sentono dentro di loro il desiderio di compiere un’impresa eccezionale, non solo per la gloria, ma proprio perché la loro giovane età gli dà una forza di vivere e degli ideali invidiabili da qualunque adulto.
La loro storia racconta che Eurialo decide di sua spontanea volontà di attraversare l’accampamento nemico per avvertire Enea della grave situazione dei Troiani. Questa proposta è come un’esca per il cuore di Niso, che crede che anche a costo della vita sarebbe ben pagata una simile gloria. Così i due ragazzi sono accolti da eroi tra le file troiane. Approfittando del momentaneo stato di euforia dell’esercito nemico, i due eroi oltrepassano il campo e si avviano nel bosco. Solo dopo si accorgono di essere inseguiti da cavalieri nemici. Niso riesce a portarsi al sicuro, ma vedendo l’amico circondato da una folla di nemici, senza pensarci due volte, rivolta una preghiera alla luna, tende un’imboscata ai nemici, peggiorando la loro rabbia nei confronti di Eurialo che, nonostante l’autoaccusarsi della strage da parte di Niso, perde la vita. Preso dalla rabbia Niso si scaglia così contro l’uccisore di Eurialo, ma la foga non è sufficiente a salvargli la vita e il suo corpo va così a giacere vicino a quello del suo amico, uniti per l’eternità da un legame di amicizia forte come non se ne è mai visti e mai se ne vedrà.
CONFRONTO FRA ARIOSTO E VIRGILIO
Come abbiamo anticipato prima, tra le due parti dei poemi ora analizzati, c’è un forte legane, sia a livello di trama che a livello di significati. Nonostante le storie siano simili, la grandezza dei due poeti, apportando delle importanti modifiche di stile, fanno divenire le due storie completamente indipendenti e diverse una dall’altra.
Un punto comune che possiamo notare è la somiglianza tra i protagonisti delle vicende, in entrambe uno, essendo più vecchio dell’altro, fa la parte del più saggio, di quello che si preoccupa di più per l’incolumità dell’amico giovane.
Questo aspetto dell’affetto e dell’amicizia che lega tra loro i ragazzi nell’Eneide, è stato chiaramente ripreso dall’Ariosto, anche se nell’opera di Virgilio si nota una maggiore sconsideratezza dei ragazzi. Qui, infatti, viene esaltata la giovinezza eroica e avventurosa, che vive con degli ideali ben precisi e a cui crede fermamente; vediamo così che le azioni di Niso per cercare di salvare la vita dell’amico non rischiandosi della sua, non sono dettate dalla volontà di fare l’eroe, ma piuttosto da un’amicizia vera e profonda per Eurialo, anche se in questo caso “amicizia” significava “morire”. Nell’Orlando questo aspetto è presente, ma leggendo dà l’impressione che i sentimenti dei due ragazzi non siano dettati dal cuore, ma piuttosto da un forte senso del dovere, impartitogli fin da bambini.
Un altro aspetto simile può essere visto nella figura del bosco, inteso come luogo di riparo, ma allo stesso tempo di perdizione. Qui, in entrambe le vicende, i ragazzi si rifugiano, ma anche si allontanano uno dall’altro. Possiamo però notare che l’amicizia fra loro è talmente forte da riuscire a distorcere l’aurea magica del bosco per far si che i ragazzi, ritornando alla loro cruda realtà, si rendano conto della situazione precaria dei rispettivi amici e che quindi rischino la vita per andare a salvarli.
Un altro aspetto che l’Ariosto ha ripreso da Virgilio è la funzione della luna come ultimo appiglio per i ragazzi in preda alla disperazione; possiamo però notare come questa preghiera abbia risultati diversi nei due poemi: mentre in Virgilio la luna non ha una funzione benevola in quanto alla fine i due ragazzi muoiono, nell’Orlando questa ha funzione di protettrice per chi la fa. La fine della vicenda, nonostante le morte di Cloridano, è comunque positiva: Medoro viene curato dalla ragazza che diventerà la sua futura moglie, ovvero Angelica.
L’ultimo punto comune da noi trovato è il grande legame che esiste fra i quattro giovani e i loro padroni o re. Tutte le vicende narrate fino ad ora sono state causate, infatti, da una profonda devozione dei ragazzi verso i loro superiori, devozione tanto grande da far loro rischiare la vita per la loro incolumità, fossero questi vivi o già morti.
Bibliografia
Virgilio “Eneide” ed. Paravia (anno 1963)
Ariosto “Orlando furioso” ed. Edipem (anno1974)