Giosuè Carducci - Tedio Invernale
Tedio Invernale Ma ci fu dunque un giorno
su questa, terra il sole?
Ci fùr rose e viole,
luce, sorriso, ardor?
Ma ci fu dunque un giorno
la dolce giovinezza
la gloria e la bellezza
fede, virtude, amor?
Ciò forse avvenne ai tempi
d’Omero e di Valmichi,
ma quei son tempi antichi,
il sole or non è più.
E questa ov’io m’avvolgo
nebbia di verno immondo
è cenere d’un mondo
che forse un giorno fu.
Commento
Questa poesia è tratta dall’opera ‘Rime Nuove’, la più ampia raccolta di testi carducciana che comprende 105 liriche scritte tra il 1861 e il 1887, e come tale tratta temi cari all’autore; da quello della morte a quello del buio, dal richiamo dei morti alla tomba, per giungere fino alla rievocazione epica della storia. La poesia consta di tre quartine e due distici secondo lo schema quartina - quartina - distico - distico - quartina. La rima è così composta: ABBC ADDC EF FG HIIG.
La prima quartina, contenente un doppio quesito, ha lo scopo di far riflettere il lettore su quella che era la situazione in passato ma anticipa implicitamente la delusione che il poeta vuole sottolineare con il paragone passato - presente. Delusione e pessimismo che ritroviamo anche nell’accorto utilizzo dei tempi verbali: passato per sottolineare i ‘bei tempi antichi’, presente per mettere l’accento sulla negatività del periodo a lui contemporaneo. Nella seconda domanda riprende la visione positiva della Natura tipica degli autori classici come Lucrezio soffermandosi sulla metafora della primavera e sul parallelismo tra luce, sole e vita.
Nei versi compresi tra il 5° e l’ 8° l’autore vuole approfondire la sua riflessione andando ad analizzare, con la ripresa di temi classici, quegli aspetti che storicamente riguardavano la sfera dei ‘boni mores’. Introduce la giovinezza, la gloria, la bellezza, la fede intesa come fiducia, la virtù e l’amore; ad ognuno di questi aspetti viene associato intrinsecamente il suo opposto in un rapporto apertamente conflittuale. La giovinezza diviene quindi specchio della vecchiaia. Tutta la stanza è interessata da una lunga domanda che per le caratteristiche con cui viene posta lascia intravedere un certo rammarico per quello che era ed ora non è più. È interessante vedere come ci sia la ripetizione della stessa frase all’inizio della prima e della seconda stanza come a sottolineare una certa unità di argomento trattato.
Questa uniformità di esposizione dei contenuti viene bruscamente interrotta dal distico che rompe anche la metrica e la fluidità di lettura. Il tema trattato riprende solo in parte quello precedentemente esposto nelle quartine perché con la citazione di due poeti del passato geograficamente molto distanti come Omero e Valmichi ci viene data una determinazione spazio temporale molto precisa sul dove si debba indirizzare la nostra riflessione.
Immediatamente però veniamo svegliati da questo sonno contemplativo del passato dal secondo distico che con brutale efficacia ci mostra quella che è la realtà. Il passato è tale, cioè passato ed il presente e futuro sono un luogo dove ‘il sole non è più’. Proprio in questo punto troviamo la divisione netta tra un passato assolutamente positivo ed un futuro visto con pessimismo quasi leopardiano. Il quasi è giustificabile dal fatto che, mentre Leopardi adotta un pessimismo cosmico assoluto senza via d’uscita, nel Carducci abbiamo un flebile speranza, come spiegheremo di seguito, tenuta in vita dall’espressione ‘è cenere d’un mondo / che forse un giorno fu’ contenuta nell’ultima stanza.
La terza quartina ha una funzione di chiusura esplicativa. Per i primi tre versi prosegue la spiegazione del mondo presente ed, in prospettiva, futuro lasciandoci la speranza che esso sia solamente coperto da nebbia e non immerso in un buio totale (da qui il ‘pessimismo limitato’ dell’autore); l’ultimo verso chiude la ciclicità della poesia riprendendo il tema del passato contenuto nei primi versi in un eterno ciclo in cui il tempo che fu risulta sempre migliore del presente.