Impressionismo - La rappresentazione della vita moderna

Gli impressionisti e le loro mostre

Già alla fine degli anni cinquanta Degas dipingeva temi a carattere contemporaneo: caffè notturni, in cui studiava la riflessione della luce nei vetri e negli specchi, le ballerine e i musicisti all’interno dei teatri, studiava inoltre il valore ed il colore del fumo all’interno di contesti particolari quali stazioni ferroviarie, porti con i battelli a vapore, cieli di città ed ambienti per fumatori. Le stazioni ferroviarie erano soggetti di studio anche per Monet, che nelle sue tele creava il vapore delle macchine che avvolgeva la folla e le sagome della segnaletica. Gli impressionisti possono essere riconosciuti per il linguaggio da loro usato nel riprodurre sulla tela effetti di luce ed ombre in modo innovativo. Studiano i colori in ombra e si rendono conto che diventa possibile produrre l’effetto della terza dimensione senza ricorrere al colore nero che tradizionalmente veniva usato per evidenziare i colori creando l’ombra; contemporaneamente si otteneva un risultato di maggior luminosità e brillantezza. Le ombre colorate vengono particolarmente studiate da Monet, Sisley e Pissarro in paesaggi innevati. Nelle ombre sulla neve non poteva esserci il nero e le ombre venivano realizzate dai colori riflessi dagli oggetti proiettati sulla neve o prodotti dalle condizioni atmosferiche. A partire dalla mostra del 1874 fecero seguito altre sette mostre, durante le quali molti artisti si alternarono. Nonostante l’atteggiamento della critica e dei visitatori ostile ed irridente, gli artisti impressionisti avevano con forza conquistato la loro fama. A partire dagli anni settanta le opere pittoriche di Degas, Monet, Renoir e di Manet vengono generalmente definite opere impressioniste, nonostante le singole personalità artistiche diano fortemente individuali e distinte.

Manet e i maestri dell’ impressionismo

Manet si avvicina alla pittura all’aperto quando ritrae in quadri di piccole dimensioni la gente sulla spiaggia, utilizzando rapide pennellate per riportare sulla tela in modo fedele ciò che vedeva. Dopo il 1874, periodo in cui aveva lavorato assieme a Monet ed a Renoir, schiarì ulteriormente i colori, rendendoli più trasparenti e distribuendoli a pennellate più leggere. Degas incontrava una certa diffidenza nella pittura all’aperto e dipingeva quindi le sue opere essenzialmente a memoria. A suo avviso il pittore doveva avere la libertà di intervenire secondo le proprie esigenze figurative sul soggetto scelto, cogliendone soltanto gli elementi ritenuti interessanti o componendolo indipendentemente dai modi della visione diretta. Nel 1870 si riscontra nella sua pittura una sensibilità più impressionistica che si riscontra nell’opera Le stiratrici, in cui l’impianto compositivo sembra quasi confondersi con la modulazione atmosferica del colore che ha perduto il valore di compattezza che aveva precedentemente. Anche Renoir all’inizio della sua carriera pensava che il museo fosse il luogo dove si imparava al meglio a dipingere e disegnare. Dopo essere entrato in contatto con Monet ed aver lavorato al suo fianco, incominciò a ritrarre i suoi modelli sotto gli alberi, colpiti qua e là da raggi di sole che, filtrando attraverso le foglie, davano effetti di mobilità e dissoluzione delle forme. Dopo un viaggio compiuto in Italia nel 1881, dove ebbe modo di vedere i dipinti di Raffaello e gli affreschi pompeiani, iniziò per l’artista un periodo di crisi che determinò nel suo stile una maggior importanza alla linea e alla tendenza alla semplificazione delle forme. Monet è il pittore che ha maggiormente dipinto all’aperto, dedicandosi sistematicamente a dipingere paesaggi di campagna e vedute urbane. Monet rimase sostanzialmente fedele alla sua impostazione pittorica concentrata sul colore lungo l’intero arco della sua attività. Intorno al 1890 lavorò a cicli di opere ritornando di continuo sullo stesso soggetto, in diverse ore del giorno ed in differenti stagioni dell’anno, che creavano colori e luci diversi; in questi studi cercava di raggiungere l’istantaneità della luce colorata in un certo momento. Nel 1891 dipinse la serie dei pagliai e dei pioppi, nel ‘94 quella della Cattedrale di Rouen, dalla fine del secolo fino alla morte (1926) si concentrò sullo studio delle ninfee del giardino di casa. Nei quadri delle ninfee dopo il 1917 arrivò ad una forma di pittura in cui le forme dei soggetti sono appena percettibili e risultano quasi disfatte nei riflessi di luce e di colore.

Situazione italiana: veristi e scapigliatura

Anche in Italia le tendenze anticlassiciste partirono da una pittura di paesaggio allargandosi alla rappresentazione di vi quotidiana. Si ricorda la scuola di Resina avviata a Napoli nel 1864 da Rossano, De Gregorio, De Nittis e Cecioni. L’esperienza del gruppo segnò un momento importante nella trasformazione della pittura napoletana di quel periodo. Il programma di questi artisti coincideva con quello dei macchiaioli toscani e si basava sullo studio dl vero, nella contestazione del ruolo primario del disegno ed adozione invece di un linguaggio basato sui rapporti tonali dei colori. Per Cecioni il bello di un’opera non si fonda sul soggetto, ma l’opera è bella quando è bene eseguita, qualunque sia il soggetto rappresentato. Anche a Milano si sviluppò una corrente fondata sul principio di verità e che usava un linguaggio artistico antiaccademico ed innovatore, alla quale partecipavano musicisti, poeti, scrittori ed artisti come pittori e scultori. Si può ricordare Medardo Rosso: con le sue opere plastiche, sviluppatesi con l’impressionismo, riusciva a dar forma e significato alla materia attraverso la luce. Il suo linguaggio plastico (completato dall’uso di materiali sensibili alla luce come la cera ed il gesso) evidenzia le maggiori corrispondenze con la pittura degli impressionisti, dai quali però si differenzia per l’interesse nei confronti del soggetto.


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