Futurismo

La stagione del futurismo

Il primo manifesto futurista risale al 1909 e venne scritto da Marinetti e pubblicato per la prima volta su un quotidiano francese. Da questo momento in poi vengono stesi manifesti relativi alle singole arti: 1910 Manifesto dei pittori futuristi, 1912 Manifesto tecnico della scultura futurista, 1914 Manifesto dell’architettura futurista. Il futurismo si contrapponeva alla cultura tradizionale e lanciava una sfida per un rinnovamento radicale in campo artistico, sociale e politico. Tale mutamento veniva considerato inevitabile e collegato strettamente con la nuova realtà della civiltà industriale, il cui elemento principale era la macchina, che creava velocità e progresso. Il problema centrale per il futurismo era la rappresentazione del movimento, l’espressione del continuo cambiamento nella dimenzione temporale; da ciò l’uso di tecniche adeguate a tale scopo, come ad esempio l’iterazione e la scomposizione. Significativi risultano inoltre i temi trattati, che sono sempre legati alla realtà contemporanea, a situazioni ed ambienti contemporanei, spesso proposti in modo provocatorio e, in qualche modo, anche politico. Politicamente e socialmente gli artisti futuristi furono impegnati soprattutto nell’interventismo bellico durante la prima guerra mondiale. Gli artisti futuristi, pur trattando problematiche comuni, si differenziano stilisticamente nelle loro opere. Lo scoppio della guerra segnò un periodo di grande impegno per il movimento che, essendo apertamente interventista, utilizzò tutte le proprie energie per la propaganda bellica. Dal manifesto del movimento comparso in un quotidiano francese nel febbraio del 1909 appare scritto: “Ogni nuova creazione o azione nasce ora dalla bellezza della velocità; musei, biblioteche, città venerate, accademie devono essere distrutti perché frutto di una cultura tradizionalista. Nel Manifesto tecnico del 1911 si ribadisce il distacco dalla pittura tradizionale e realista e si dichiara che ora l’arte deve dare sensazioni dinamiche e lo spettatore dev’essere posto al centro del quadro. Già nel 1910 vengono esposti a Milano i primi dipinti futuristi; le opere esposte sono di Boccioni, Carrà e Russolo, artisti che nel 1911 contribuiranno alla stesura del Manifesto della pittura futurista. In uno dei dipinti esposti, La città che sale di Boccioni, possiamo notare che l’artista rappresenta attraverso un vortice di colori la tensione dell’uomo e dell’animale, usando il colore con pennellate oblique e filamentose. Nelle opere di Boccioni forma e spazialità si amalgamano attraverso un uso particolare del colore che viene studiato per ottenere nuove combinazioni complementare, contrasti di toni e deformazioni espressionistiche. Egli cerca di dilatare lo spazio attraverso elementi formali che evidenziano la tensione dinamica del soggetto, rapportato all’ambiente circostante. Nell’opera di Boccioni Stati d’animo l’artista ricerca attraverso l’uso di un nuovo stile di trasferire sul dipinto immagini, sensazioni ed emozioni, utilizzando linee che diventano prolungamento dinamico dello stato d’animo del soggetto. Nelle opere di Carrà lo spazio viene suddiviso dall’uso di ritmi lineari più accentuati e la struttura dell’oggetto risulta più curata. I colori sono generalmente pacati e la loro stesura tende a dare uniformità all’insieme, creando un perfetto equilibrio di forme e colori. Già dal 1913 si manifestano all’interno del gruppo posizioni individuali che partendo da tematiche e tecniche futuriste approdano anche, nel caso di Russolo, alla musica ed in particolare alla costruzione di nuovi strumenti in grado di emettere suoni che “diano la sensazione del pulsare, della vita agitata della metropoli”. Carrà, nel manifesto La pittura dei suoni, rumori, odori elabora le sue teorie affermando che suoni, odori e rumori devono trovarsi all’interno dell’opera e naturalmente esprimere tali sensazioni. La ricerca pittorica di Boccioni corre parallelamente ad una ricerca in campo plastico che già dal 1913 lo portarono ad interessarsi a questo aspetto artistico e nello stesso anno pubblica il Manifesto tecnico della scultura futurista. Nelle sue opere plastiche cerca di sintetizzare le pulsioni di moto dell’oggetto con il moto assoluto dell’universo prolungando nello spazio i piani dell’immagine rappresentata. Nel movimento futurista l’architettura si interessa particolarmente alle città, intese come ambiente fisico in cui si concentra la dinamicità della nuova vita. La città sognata dai progettisti futuristi è quella del traffico e del rumore, degli arsenali e dei cantieri, delle stazioni e dei grattacieli, una città realizzata prevalentemente con i nuovi materiali, quali acciaio e cemento. La forma architettonica futurista è l’ultima espressione artistica a fare la sua comparsa, anche per problemi di carattere pratico ed economico. Il Manifesto dell’architettura futurista viene pubblicato nel 1914 ad opera di Antonio Sant’Elia; di origine italiana, aveva ricevuto la sua formazione architettonica a Vienna presso la scuola austriaca di Otto Wagner. Nei progetti ed esercitazioni di Sant’Elia troviamo fantasie architettoniche che si dilatano nello spazio attraverso linee inclinate e volumi elementari, che generano un forte dinamismo architettonico. Dai primi disegni utopistici prende il via nel 1913 una serie di tavole intitolate città nuova ed esposte ad una mostra a Milano. Il Manifesto dell’architettura futurista fissa otto punti dai quali dovrebbe partire la sperimentazione dell’architettura futurista:

L’impiego di nuovi materiali

Valore alla sintesi artistica

Uso dinamico di linee oblique ed ellittiche

Uso del materiale nudo a scopo decorativo

Ispirazione tratta dal mondo della macchina

Fine della tradizione compositiva

Il mondo delle cose come proiezione del mondo dello spirito

Transitorietà dell’architettura

Con la morte di Sant’Elia nel corso della prima guerra mondiale si interrompe l’attività di questo gruppo di futuristi, che in epoca successiva riusciranno a realizzare dai progetti del capogruppo il Monumento ai caduti di Como.

Forme e colori come realtà pure

L’arte astratta viene definita come arte figurativa che non riproduce o rappresenta immagini riconoscibili ma ne fa astrazione per giungere alla forma pura. La mancanza nell’opera di oggetti o temi riconoscibili non significa mancanza di significati perché questi sono espressi dai colori, dalle forme compositive e dalle linee. Per gli artisti astrattisti la pittura non ha bisogno di imitare la realtà. Klee afferma che “l’arte non rappresenta il visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”. L’arte astratta nacque nel 1910 con il primo acquerello astratto di Kandinskij e da quel momento si diffuse in tutta Europa. Nel 1911 Kandinskij e Franz Marc fondarono a Monaco il movimento Der Blaue Reiter (il Cavaliere azzurro) con lo scopo di rinnovare il linguaggio pittorico. Questo movimento contribuì in modo decisivo a diffondere non solo l’arte astratta, ma anche e soprattutto le motivazioni culturali dell’avanguardia. Con l’avvento della prima guerra mondiale l’azione di questo gruppo si fermò. In Russia, dove già si erano diffuse le nuove idee cubiste, futuriste e del raggiamo, l’astrazione ebbe due diverse manifestazioni: il suprematismo, con Malevich, ed il costruttivismo, con Tatlin. In Olanda, nella rivista “De Stijl” (Lo Stile) Mondrian teorizza l’arte astratta intendendola come nuova forma ed in particolare come esigenza di un equilibrio tra universale e particolare. L’arte astratta interessò anche l’artigianato e la produzione industriale all’interno della scuola del Bauhaus fondata dall’architetto Walter Gropius con lo scopo di avvicinare l’arte alla produzione e viceversa.

La nascita del Cavaliere azzurro

Nel 1911 Kandinskij e Franz Marc fondano un gruppo che tende a rappresentare nelle opere una sintesi, eliminando tutto ciò che viene ritenuto superfluo e causa di disturbo per l’osservatore. Già dal 1909 Kandinskij dipinge una serie di improvvisazioni in cui rappresenta composizioni ispirate da emozioni simili alla percezione di ritmi e variazioni musicali. Al gruppo aderirono altri artisti che, oltre ad accettare la teoria dei due fondatori si ispirarono a Van Gogh, Gauguin, Klimt e ad altre correnti d’avanguardia; le loro opere tendevano tutte alla rappresentazione dell’interiorità. Marc dipingeva preferibilmente animali il cui movimento nel corpo creava sulla tela arabeschi sinuosi e flessibili. Il colore aveva una funzione espressiva più che realista e veniva utilizzato puro e privo di qualsiasi sfumatura. Il gruppo si sciolse nel 1914 a causa della guerra e Kandinskij si recò in Russia, suo paese d’origine, dove si dedicò all’insegnamento, che durò fino al 1922, anno in cui rientrò in Germania, a Weimar, presso la scuola del Bauhaus, per tenere un corso di pittura. In questi anni la pittura di Kandinskij arricchì le composizioni di forme geometriche colorate, in grado di esprimere diversi sentimenti. L’evoluzione artistica di Kandinskij risulta importante perché costruì e generò una spinta negli artisti e nei movimenti a lui contemporanei.

Raggismo e suprematismo in Russia

Il 1913 è l’anno in cui viene pubblicato il Manifesto del movimento raggista, firmato da Larionov, Goncarova e altri artisti, che seguirono la situazione artistica internazionale e contemporaneamente si dedicarono allo studio delle arti popolari russe. Il movimento raggista fa riferimento in particolare al cubismo, al futurismo e all’orfismo, fondendo ad essi elementi della cultura artistica russa. (Movimento orfista: movimento che usa il colore per trasformare la forma plastica e portarla ad una dimensione più spiritualizzata. Apollinaire afferma che molti movimenti artistici che usano in modo nuovo il colore appartengono all’orfismo (futurismo, cubismo…)). Il raggio veniva inteso come simbolo assoluto di luce e movimento e attraverso l’uso del colore fondeva assieme due culture: quella occidentale delle ricerche d’avanguardia e quella orientale basata sulla tradizione degli smalti, dei mosaici e delle icone. Dopo le prime esperienze in pittura Larionov e la Goncarova nel 1914 lasciarono la Russia per dedicarsi alla scenografia dei balletti russi in tournée nell’Europa occidentale, ma la loro esperienza nella pittura con il movimento raggista rese possibile la penetrazione in Russia di nuovi ideali artistci provenienti da altre località che permisero agli artisti sovietici una rielaborazione soggettiva ed una apertura verso nuove ricerche. Il raggiamo aveva aperto in Russia il nuovo dibattito artistico che fino a quel momento era represso, che coinvolgeva non solo pittori, scultori ed architetti, ma anche poeti, registi e scrittori. Malevic era inizialmente interessato nelle sue opere dalle esperienze di Larionov e Goncarova che ben presto superò per dedicarsi esclusivamente alla rappresentazione della figura. Condivideva con i raggisti la passione e lo studio per l’arte popolare russa dalla quale traeva in particolare la capacità di schematizzazione. Egli affermava che “I pittori di icone riproducevano il contenuto in una verità antianatomica, fuori dalla prospettiva spaziale e lineare. Il colore e la forma erano da loro creati in base alla percezione puramente emotiva del tema”. L’artista era attratto dalla maniera con la quale i pittori di icone trascendevano il reale. Sembrò ispirarsi a loro quando nel 1913 arrivò all’astrazione totale realizzando un dipinto in cui mostrava un semplice quadrato nero su fondo bianco.Malevic definì la propria visione dell’astrattismo come suprema schematizzazione di forme geometriche ridotte all’essenziale che conducono l’artista in un deserto dove nulla è riconoscibile se non la sensibilità. Egli cercava una purezza assoluta che veniva espressa nello spazio con simboli primari. Ne sono un esempio le opere La croce nera ed il Quadrato rosso e nero. Dopo la rivoluzione del 1917 l’artista aderì alla Federazione degli artisti di sinistra, dedicandosi all’insegnamento ed alle esposizioni. La sua ricerca in campo artistico venne bloccata alla metà degli anni ‘20 a causa delle mutazioni politiche in Russia e nel 1930 l’artista viene arrestato e sottoposto a duri interrogatori.

Architettura e avanguardia in Unione Sovietica

Durante i primi anni di potere dei soviet architettura, pittura e scultura sono unite nella ricerca di nuovi linguaggi e l’esperienza del costruttivismo si inserisce in tale contesto. Il gruppo nasce con l’obiettivo di operare una completa integrazione fra l’artista, il lavoro e la società. Anche se fra gli artisti costruttivisti si notano evidenti differenze, esisteva una comune elaborazione originata dall’interesse nell’uso di materiali di produzione industriale. Il progetto di Tatlin del Monumento alla Terza Internazionale è la massima manifestazione in un’opera degli entusiasmi degli artisti e del loro desiderio di unione fra le arti. Tatlin già dal 1915 elabora ricerche sulle proprietà fisiche e meccaniche dei diversi materiali e da ciò deriva il suo interesse spiccato per la forma scultorea. Il Monumento alla Terza Internazionale non venne mai costruito, ma rappresenta una perfetta fusione fra un’estetica radicale e le domande vitali di una società rivoluzionaria. Successivamente l’artista insegna in scuole artistiche e, personalmente, si dedica a esperienze di design, progettando oggetti e accessori per la produzione di massa.


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