Beato Angelico

INTRODUZIONE A BEATO ANGELICO

Beato Angelico è il nome, trasformato così dalla tradizione, di Guido di Pietro, nato fra il 1395 e il 1400, poco prima di Masaccio, a Vicchio, in provincia di Firenze, e morto nel 1455 a Roma, Dopo aver svolto per due anni attività di pittore e miniatore a Firenze, nel 1418 Beato Angelico entrò nel convento domenicano di Fiesole col nome di frà Giovanni, dove prese gli ordini verso il 1425. Si tratta di un pittore colto, amico di molti umanisti, attento al contesto fiorentino nel quale vive; diede molta importanza agli studi prospettici di Brunelleschi e di Leon Battista Alberti, mentre condivise il metodo stilistico usato dal Masaccio, reagendo tempestivamente alla sue novità fin dalle prime opere, trasformando, con risultati eccezionali, la sua luminosità in delicate inflessioni cromatiche che lo resero famoso.

L’Angelico non accettava pienamente le estreme conseguenze del rinascimento sul piano morale e ideologico per questo venne definito da alcuni studiosi come un pittore fuori dal suo tempo, ritrovatosi in un ambiente culturale paganeggiante. La sua indole umile e ascetica ha preferito ritirarsi, in un volontario e psicologico esilio dal mondo umanista, per mettersi al servizio della gloria di Dio. Non si capisce molto della pittura dell’Angelico se non si tiene conto dello sfondo religioso ed etico che ebbe, anche in tutto il suo lavoro.

Sentì fortemente propria la grazia lineare, il prendersi cura di ogni dettaglio e, soprattutto, l’uso del colore variato e brillante.

All’interno del suo stile tenne dei legami, nel primo periodo di attività nel quale svolse opere quali la Madonna della Stella di cultura tardogotica, con Gentile da Fabriano e Lorenzo Ghiberti, ma soprattutto con l’iconografia religiosa del 300 per la comprensibilità dei temi. Nonostante l’ambiente domenicano vedesse ogni novità umanistica come portatrice di elementi paganeggianti, Beato Angelico, tra gli anni 20 e 30, sperimentò modi pittorici diversi, come il far convergere lo stile gotico con quello rinascimentale o l’innovazione completa dell’iconografia della pala d’altare. Infatti, mentre prima veniva dedicato ogni pannello a una sola figura, l’Angelico riunisce tutti i personaggi in una sola cornice e ambientazione. Dato che questo poteva essere visto come una novità troppo radicale, tenne in ogni modo degli elementi tradizionali, nei piccoli particolari.

Trovò il suo stile maturo nel Tabernacolo dei Linaioli tenuto al museo di San Marco.

Il Giudizio Universale, dipinto intorno al 1430-1433, era ancora molto legato allo stile spirituale di Lorenzo Monaco, ma già i piani prospettici avevano una loro novità.

Nel 1436 i domenicani di Fiesole si trasferirono nel convento di San Marco a Firenze donatogli dal papa Eugenio IV. Cosimo de’ Medici affida il compito di ristrutturare e di affrescarne le pareti e all’Angelico, con lo scopo di renderlo degno di accogliere i nuovi frati predicatori, mentre Michelozzo sarà incaricato della ristrutturazione delle pareti.

Il ciclo è ispirato al Nuovo Testamento e impegna, a fianco dell’Angelico, un vasto numero di aiuti. Non è rivolto all’intero pubblico di Firenze, in quanto svolto nelle celle, nei corridoi e nella sala capitolare, ma soltanto ai padri del convento e quindi il tono doveva essere ascetico, in accordo con la vita meditativa tenuta dai frati. Per questo scopo l’Angelico tenne un linguaggio volutamente spoglio e scarnificato.

Nel 1446 fu chiamato, sempre dal papa Eugenio IV a Roma, dove dipinse il suo ultimo capolavoro: le Storie di S. Stefano e S. Lorenzo.

L’”ANNUNCIAZIONE”

  1. Tra le prime opere attribuitagli troviamo l’Annunciazione che mostra tutta la sua bellezza in alcuni elementi caratteristici: nella grazia dei volti, nei bagliori cristallini dei colori e nella precisione descrittiva della vegetazione. Tutte queste sono ricomposte all’interno di un’inquadratura prospettica perfetta, abbondante, dal punto di vista umanista, di citazioni classiche. E’ qui presente una simultaneità di intrecci stilistici che, però, non porta l’Angelico ad un esito impersonale, ma che, grazie all’attenzione critica e una sentita coscienza religiosa, eleva il suo stile ad una qualità esemplare. L’Annunciazione , dipinta nel corridoio nord al pianterreno, è immaginata dall’autore sullo sfondo di una selva impenetrabile, bloccata nella sua potenza da un’esile staccionata, mentre la scena principale si svolge sotto un portico aperto su un giardino, grazioso se visto in contrapposizione con la selva adiacente. Il dialogo fra l’angelo e Maria non è fatto da parole, ma solo da sguardi, nel quale la parola resta quasi sospesa al filo del silenzio.

  2. L’Annunciazione , dipinta invece nel dormitorio del convento, è immaginata dall’autore all’interno di un loggiato, per fare risaltare l’austerità dell’ambiente. Le ali dell’angelo coprono volutamente i capitelli delle colonne, in modo da non distrarre dall’incanto delle linee delle volte e dal magico candore del pavimento e delle pareti. Maria viene qui rappresentata come una semplice ragazza, non ricca, ma vestita poveramente e inginocchiata in penitenza di fronte all’angelo guardandolo attraverso lo spazio.


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